La miniera

La grotta (o meglio la miniera, Solfatara) di Predappio Alta

L’importanza dello zolfo per l’uomo si perde nella notte dei tempi; si ipotizza che già nella tarda età del bronzo si utilizzasse per la concia del pellame, per sbiancare i tessuti e venisse bruciato nelle cerimonie religiose di purificazione (Ulisse dopo l’uccisione dei Proci purifica la sua casa con lo zolfo).
In agricoltura serviva ad allontanare gli insetti, i Romani usavano fili impregnati di zolfo per accendere il fuoco, era usato nei collanti e mastici, in medicina per preparare cerotti unguenti e pomate. La sua importanza aumentò alla scoperta della polvere pirica di cui è elemento fondamentale ed aumenta ancora quando nel XVIII secolo si cominciò a produrre l’acido solforico.
In Italia, allo stato naturale, lo zolfo si trova in forma cristallina in alcune zone della Sicilia e in misura minore in tutta la Romagna. Fino al secolo XVI la raccolta avveniva solo per il minerale che affiorava sul terreno, e solo dopo questo secolo cominciano a svilupparsi le prime vere estrazioni, dette coltivazioni.
In Romagna una delle miniere più importanti è stata di certo quella di S. Pietro in Sulferina (l’attuale Borello). Lo zolfo prodotto in questa zona dell’Appennino veniva poi trasportato seguendo il corso del fiume Savio, confluendo in parte a Cesena e poi a Cesenatico, creando di fatto una vera e propria “via dello zolfo”.
Il prodotto veniva poi imbarcato in piccoli battelli per Ancona, e da qui prendeva la via, su battelli più grandi, per Spagna e Fiandre.
Per quanto riguarda il complesso di miniere de “La Prè”, la prima testimonianza ufficiale di sfruttamento della zolfatara si ha con Francesco Rainieri, nato a Villa Salto nel 1645. La miniera di Predappio Alta è di sicuro una delle più antiche di Romagna. Nel 1812 la miniera fu acquistata dal possidente forlivese Domenico Manzoni, che fu poi assassinato nel 1817. Nel 1837 gli eredi acquistarono i limitrofi poderi per ampliare la zolfatara. In un Almanacco di epoca Napoleonica si legge “nell’anno bisestile 1812 le più fertili miniere sulfuree si dicono quelle di Predappio nei fondi D’Appio e Casetta”.
In seguito, con la fine dell’epoca Napoleonica e con la ripresa della libera navigazione, si rese disponibile lo zolfo siciliano ad un prezzo molto più basso, e questo colpì a morte lo zolfo Romagnolo, portando come conseguenza la chiusura di varie zolfatare.
Da un manoscritto del 1824 conservato presso la Biblioteca Classense di Ravenna si evince che nella provincia di Forlì (escluso il Cesenate), nell’anno 1824 rimanevano in attività solo tre miniere, di cui una in Comune di Predappio nei fondi Appio e Casetta con una produzione annua di circa 60.000 libbre romane (1 libbra = 327 gr), quasi 20 tonnellate.
Fino al 1874 la miniera fu confermata in concessione alla famiglia Manzoni e in seguito gestita da vari affittuari; tra essi anche la Società Panciatichi, Piceni e Fiori. In questo periodo nella zolfatara lavoravano circa 170 persone con una produzione di zolfo pari a 2000 quintali (20 tonnellate).
Dal 1900 al 1902, sempre a opera di affittuari, si fecero importanti lavori di ricerca, e proprio una delle miniere scavate in quel periodo è quella attualmente percorribile. Dopo 4/5 anni di estrazione i lavori vennero sospesi per impoverimento del banco solfifero.
Nel 1925 la zolfatara fu presa in gestione dalla Società Anonima Zolfi di Milano, che con grande abbondanza di mezzi eseguì numerosi sondaggi in tutta la zona (miniere di ricerca) ed eseguì opere di supporto logistico e di edificazione (strade, centrali elettriche, teleferica per il trasporto del minerale), ma tutto ciò era spinto probabilmente da un interesse propagandistico e politico del momento più che per un giustificato interesse economico, infatti, nonostante la dovizia di mezzi e sforzi, i risultati furono quasi sempre deludenti (chiuse nel 1929). Nel 1937 i lavori furono totalmente abbandonati e la miniera pervenne alla società Montecatini che nel 1941 rinunciò alla concessione di estrazione (coltivazione).
I sistemi di produzione dello zolfo erano sostanzialmente due:
– a Calcarone, tipo di forno diffuso in tutte le miniere italiane a partire dal 1850 per ottenere la separazione del minerale dalla ganga;
– a doppioni, forni usati esclusivamente in Romagna (garantivano una migliore resa), nei quali il minerale era sottoposto a distillazione.

La Società Anonima Zolfi aveva costruito una teleferica che portava il minerale estratto dalla miniera a valle, in località Monte Pennino. Qui la società aveva costruito anche due piccoli stabilimenti che contenevano un’officina, magazzini e i forni per la separazione del minerale. Questi stabilimenti furono acquistati nel 1935 dall’Ebanisteria Castelli di Bologna che poi si fuse con la Società Caproni che ampliò notevolmente i locali. E da qui parte un’altra storia… (vedi “le Officine Caproni”)

La grotta è attualmente usata dalla Pro Loco per la realizzazione di un Presepe che si svolge ogni anno dal 1981, quando alcuni speleologi portarono per la prima volta dentro la Grotta una stella di Natale.

Alcuni cunicoli vengono anche sfruttati, sempre dalla Pro Loco di Predappio Alta, per la stagionatura di formaggio pecorino che, per le particolari condizioni di temperatura e ambiente in cui avviene la stagionatura, acquisisce caratteristiche particolari e uniche.
Dentro la grotta scorre anche un piccolo fiumiciattolo di acqua sulfurea, una parte della quale sfocia in una piccola fontana posta nella vicinanze della strada sottostante. A quest’acqua, anche se di gusto molto particolare (essendo sulfurea odora di uovo), verrebbero riconosciute qualità terapeutiche.

Inquadramento Geologico
Roccia calcarea appartenente alla formazione gessosa solfifera del Messiniano

Il sito ufficiale della Zolfatara

Sulla Zolfatara di Predappio Alta è stato realizzato un nuovo sito ufficiale che racconta sia la storia della miniera in dettaglio riportando anche foto e mappe d’epoca. Potete andare al sito ufficiale cliccando qui

Ringraziamenti
Sig. Pietro Valpiani Orologiaio in Predappio
La miniera: tra documento, storia e racconto, rappresentazione e conservazione – a cura di Sergio Lolletti, Massimo Tozzi Fontana – ed. Analisi